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Il GECT, Gruppo europeo di cooperazione territoriale: un nuovo strumento per la politica di sviluppo e coesione.

di Giuliana Tulino

Il nostro ordinamento dal primo agosto 2007 si è arricchito di un nuovo soggetto giuridico, il GECT.

Il riferimento normativo è il regolamento n. 1082/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 che istituisce un quadro normativo per la cooperazione territoriale. Il primo agosto 2007 era il termine entro il quale ai sensi dell’art. 18 del regolamento stesso gli Stati membri avrebbero dovuto comunicare alla Commissione Europea l’adozione di disposizioni nazionali per assicurarne l’applicazione, ma nel nostro ordinamento si registra ancora un mancato adempimento degli obblighi previsti dall’art. 16.

Vediamo in particolare di cosa si tratta.

E’ un nuovo strumento, il GECT, con dei compiti specifici nella promozione dello sviluppo locale attraverso l’utilizzo di finanziamenti provenienti dai bilanci comunitari ma non solo.

Tra gli obiettivi ci sono la realizzazione di sinergie e un fitto interscambio di esperienze.

Il gruppo è composto da Stati membri, collettività regionali e locali o organismi di diritto pubblico a titolo facoltativo. Si istituisce stipulando una convenzione ed adottando uno statuto che poi andranno notificati alle autorità nazionali competenti.

Importante sottolineare che i membri di un GECT devono risiedere sul territorio di almeno due Stati membri ma è possibile aprirlo anche a frontiere esterne dell’UE purché la legislazione dei paesi terzi interessati o gli accordi tra questi e gli Stati membri lo consentano.

La base giuridica di questo nuovo strumento messo a disposizione dal panorama europeo è l’art. 159 del TCE che prevede ci siano, accanto ai Fondi Strutturali, anche delle specifiche azioni a sostegno della coesione economica e sociale in modo tale da permettere agli Stati membri, con le loro articolazioni come le regioni e gli enti locali, di perseguire una integrazione territoriale coordinando degli interventi sinergici e ciò nonostante la presenza di differenti contesti e procedure legislative. Il regolamento, tuttavia, ha anche altri rimandi e precedenti giuridici e cioè gli accordi tra gli Stati per regolare i rapporti di vicinato; la normativa del Consiglio d’Europa basata su una convenzione quadro firmata a Madrid il 21 maggio 1980 per promuovere la cooperazione tra le collettività e le autorità di frontiera in materie quali lo sviluppo regionale, urbano, rurale, la protezione dell’ambiente, il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi offerti ai cittadini, integrata da due protocolli addizionali del 1995 e 1998 e che in Italia è stata ratificata con la legge 19 novembre 1984, n. 948; ancora una serie di accordi quadro bilaterali e i meccanismi di promozione sviluppati dal diritto comunitario attraverso la cooperazione transfrontaliera.

La cooperazione territoriale rientra nel nuovo Obiettivo 3 del periodo di programmazione comunitaria 2007 – 2013, appunto Cooperazione territoriale europea, inteso a rafforzare la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale e che si basa sull’iniziativa INTERREG.

I futuri GECT potranno proporre progetti da finanziare nell’ambito dei diversi programmi di cooperazione. Nei programmi operativi, inoltre, si può prevedere il trasferimento delle funzioni di autorità di gestione del programma ad un futuro GECT.

Un soggetto giuridico, dunque, di tipo associativo con obiettivi di cooperazione territoriale sulla base di progetti cofinanziati dall’Unione Europea ma anche senza alcun finanziamento di questa, di progetti e azioni su iniziativa di Stati membri e rispettive autorità regionali e locali.

Un soggetto dotato di personalità giuridica, pubblica o privata, il regolamento non lo specifica, che possa contribuire in maniera armonica e sostenibile, allo sviluppo economico e sociale nelle aree coinvolte e alla crescita della competitività territoriale.

Il problema esistente è legato alla necessità di un vincolo normativo necessario a dare attuazione al regolamento GECT e che chiarisca la tipologia di personalità giuridica che il Gruppo dovrà avere, di diritto pubblico o di diritto privato.

Naturalmente le implicazioni sarebbero differenti.

Il GECT è costituito su base volontaristica e questo ha orientato il legislatore italiano a propendere verso una soluzione di tipo privatistico anche per evitare una potenziale proliferazione di organismi pubblici e anche per permetterne una più semplice attuabilità.

I controlli però resterebbero di tipo pubblicistico.

Il fatto che a livello comunitario non sia stata specificata la natura del GECT spiega la tradizionale indifferenza del diritto comunitario riguardo alla distinzione tra pubblico e privato di cui invece è permeato il nostro ordinamento giuridico.

C’è da evidenziare che il regolamento non è destinato a produrre un effetto uniforme su tutto il territorio dell’Unione e questo in ragione dell’eterogeneità di fattori organizzativi e giuridici degli Stati membri. E’ inevitabile, quindi, una dinamica legislativa e regolamentare in ciascuno Stato membro che porti a rafforzare la certezza giuridica per il concreto utilizzo di questo strumento di cooperazione. Anche perché la disciplina contenuta nel regolamento è molto generica e lascia molti margini di intervento. Si auspica, quindi, che ogni Stato membro adotti una propria strategia nazionale di cooperazione territoriale e questo in quanto i singoli Stati sono chiamati a diversi ruoli nell’ambito della Costituzione di un GECT: negoziare il regolamento, esserne potenziali membri, in quanto legislatori dettare disposizioni che ne assicurino l’effettiva applicazione e infine vengono loro assegnate funzioni di controllo.

Ciò nonostante, nel c.d decreto milleproroghe, non sono state tradotte in un emendamento alla legge di conversione le norme formulate d’intesa tra il Dipartimento Affari Regionali e Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’adozione del regolamento sul GECT, dunque questo è rimasto in sospeso.

In realtà una raccomandazione dell’Assemblea delle Regioni (ARE) adottata nello scorso settembre sottolinea come le regioni debbano essere in grado di costituire i GECT che sono il mezzo attraverso il quale giocare un ruolo importante nella politica regionale dell’UE, sollecitando l’adozione delle misure nazionali necessarie.

Data la diversità dell’Europa e delle sue regioni lo sviluppo di forme di cooperazione porteranno un vantaggio per tutta l’area.

Occorrono, pertanto, delle politiche regionali su misura, degli spazi policentrici che avrebbero certamente delle ricadute positive per il territorio.

Porre troppi paletti alla costituzione di un GECT potrebbe indurre i potenziali propositori a collocare il nuovo soggetto in un paese estero per approfittare dei benefici della concorrenza tra ordinamenti spesso utilizzata per armonizzare le legislazioni nazionali dei paesi membri dell’UE.

Il diritto comunitario conferisce una certa capacità ma i singoli ordinamenti dovranno ampliarla. E, quindi, occorrerà chiarire al più presto la portata di questo nuovo strumento per renderlo utilizzabile in concreto.

Il vantaggio può essere un rapporto più virtuoso e collaborativo tra Stato e regioni evitando contenziosi e ispirandosi a principi di leale collaborazione.

Il tutto rientrerebbe nell’ambito dell’attività internazionale delle regioni, ai sensi dell’art. 6 della legge 131/2003 attuativa dell’art. 117 della Costituzione, notoriamente distinta dalla politica estera di competenza esclusiva dello Stato.

Non si dimentichi però che nei rapporti con l’UE il riferimento delle regioni deve essere sempre lo Stato che funge da snodo in modo tale da far comunicare e mettere a frutto le istanze territoriali.

Occorre, dunque, saper cogliere tutte le opportunità offerte dall’Europa per il miglioramento della coesione economica e sociale.

La possibilità di operare attraverso questo nuovo strumento rafforza, inoltre, l’azione di multi level govenance, anche nel processo di integrazione, attraverso una forma di gestione degli spazi limitrofi alle frontiere interne.

E’ necessaria, quindi, un’implementazione del regolamento GECT e l’Italia, paese fondatore della Comunità europea, può fare da apripista anche relativamente all’inclusione di paesi terzi nel GECT, nel rispetto delle condizioni stabilite dal regolamento altresì per la circostanza che proprio l’Italia sarà responsabile per i futuri programmi di cooperazione transfrontaliera IPA Adriatico.

Attualmente le “Euroregioni” e gli “Eurodistretti” esistenti sono diversi; adesso però si dispone di uno strumento giuridico concreto di cui usufruire, appunto il GECT.

La Slovenia è un esempio di paese che si sta muovendo un questa direzione infatti in questo semestre di Presidenza dell’UE si è mossa accelerando il passo dell’integrazione e abbozzando un disegno di legge costituzionale che prevede l’istituzione delle regioni, essendone per ora priva.

Un progetto di Euroregione in atto è quello tra Friuli Venezia Giulia, Veneto, Carinzia e Slovenia appunto ma per il quale c’è una querelle in atto riguardante la scelta della relativa capitale, Trieste o Lubiana.

Probabilmente sarebbe auspicabile la proposta di una Euroregione, un GECT, anche a Sud, nell’area mediterranea con capitale una città della Calabria o della Sicilia; certamente non parrebbe conveniente proporre come capitale una città che già lo è, cioè sovrapporre una realtà statuale con una regionale.

La nascita di una Euroregione nel cuore del Mediterraneo forse rappresenterebbe una opportunità in più da sfruttare, anche per rilanciare il partenariato euro-mediterraneo, puntando soprattutto sul turismo che, a mio avviso, proprio in quest’area a ciò votata, potrebbe divenire un’eccellenza da “spendere” a vantaggio di tutti.

Non posso non osservare comunque come in questi giorni di fermenti politici nel nostro Paese, considerate le prossime elezioni, nonostante sembrerebbe quasi che si stia per aprire una nuova fase, nulla o quasi si registra nei programmi dei nuovi partiti politici sulle politiche europee e internazionali.